"Il patriottismo è l'ultimo rifugio dei mascalzoni"
Samuel Johnson


giovedì 8 ottobre 2015

PIU' RIFORME = MENO TASSE, IL PATTO CON "L'INGANNO" DEL GOVERNO


Il mai eletto Presidente del Consiglio Matteo Renzi ha chiesto, ma non si sa se abbia poi ottenuto risposta, un “patto con gli italiani” sulla falsariga di quanto fece a sua volta anni addietro durante la trasmissione televisiva “Porta a Porta”, il suo padre politico Silvio Berlusconi.

Il patto prevederebbe uno scambio dove, a fronte di meno tasse, si dovrebbe permettere al Presidente del Consiglio di fare le riforme, e fin qui niente di nuovo, il solito politico all’italiana chiacchierone e inconcludente che se la suona e se la canta da solo.

I politici italiani, soprattutto quando Premier, riescono sempre a spostare in avanti la loro personale soglia del ridicolo, infatti mi piacerebbe sapere quale risposta Renzi (pardon, lui direbbe feed-back) ha potuto ottenere dai cittadini italiani, visto che una volta annunciati i suoi intendimenti pattizi attraverso i media, tutto finisce lì.

Diverso sarebbe stato se a ciò fosse seguito l’esito di un voto politico, allora sì che una occasione di risposta il cittadino-elettore l’avrebbe data, ma in tale maniera, più che un “patto” sottoscrivibile liberamente tra due soggetti, dà l’idea di un ricatto, o meglio, di una boutade estiva da solleone.

Ma anche accettando la buona fede e le buone intenzioni del Premier, questo voler sottoscrivere un patto con gli italiani, sa di stantìo, di già visto, una blanda riedizione aggiornata in stile 2.0 di quanto fece a suo tempo Berlusconi nel 2001, e poi finito nel dimenticatoio il tempo di aprire le urne e decretarlo vincitore e Premier.

Purtroppo il livello cialtronesco della classe politica italiana negli ultimi tre decenni ha avuto la terribile conseguenza di depotenziare termini, approcci e progetti politici di per sé nobili, meritevoli di essere trattati in maniera seria e non meschina: un federalismo serio servirebbe eccome, sarebbe benefico per i tanti sprechi dell’apparato pubblico italiano; una seria politica liberale, servirebbe eccome, per liberare da lacci, lacciuoli e congreghe di vario ordine e grado gli individui e le imprese dotate di buona volontà e talento; una politica seria a favore della famiglia servirebbe eccome, per valorizzare l’unico istituto che ha tenuto in piedi questo Paese nei decenni di difficoltà economica e di minaccia del relativismo culturale; una vera politica sociale servirebbe eccome, per creare un concetto di comunità tanto importante quale prosecuzione dell’individuo e della famiglia, nella quale valorizzare e tutelare gli individui attraverso i cambiamenti di tipo economico, culturale e sociale, laddove una sempre più invasiva e spietata società dei consumi non accetta che “si rimanga indietro”.

Quanto servirebbe tutto questo, quanto servirebbe una classe politica volta ad un’azione politica frutto di approcci e ideologie che permettano di immaginare la società, e agire in tal senso senza altri fini, se non il bene comune.

Ma è un’utopia, ne siamo ben lungi, i politici vivono e agiscono per il consenso, che si ottiene solo comparendo in televisione e formulando discorsi-tweet con la finalità di lisciare il pelo dell’elettorato per il suo giusto verso.

Di riforme sventolate e mai realizzate ne abbiamo fatto il callo, e sul tema dell’invasività del fisco e della pressione fiscale gravante sui ceti produttivi poi, siamo alla nausea.

La Prima Repubblica è crollata sulla spinta di Tangentopoli che ne ha messo a nudo il marciume morale fatto di tangenti, familismi, clientele e comportamenti oltre il limite della sconcezza morale, lasciando in eredità una situazione fatta di dissesto finanziario per le casse dello Stato, con un debito pubblico pari al 120% del PIL.

Con la Seconda Repubblica uno degli obiettivi era quello di far rientrare il rapporto debito/pil a livelli accettabili, anche per tornare ad attrarre capitali stranieri, ma siccome in Italia nessuno è quel che dice, proprio il presunto-liberale Berlusconi è riuscito nell’impresa non solo di non ridurre questo valore, bensì di aumentarlo, segno che il dimagrimento delle spese e degli sprechi dello Stato non è stato in cima ai reali pensieri e alle reali azioni dell’allora Premier. Negli ultimi anni la situazione si è ulteriormente aggravata, e nell’area Euro, dopo l’ormai fallita e colonizzata Grecia, il Paese con il peggior rapporto debito/pil è proprio l’Italia.

Quello che l’ex-presunto rottamatore e attuale Premier, Renzi, dovrebbe dire è tutt’altro. Se avesse un briciolo di coraggio, di buon senso e di disinteresse verso consenso, potere e prossime tornate elettorali, dovrebbe rimarcare come l’unico modo per diminuire la pressione fiscale su imprese e lavoratori è quello di una grossa dieta dimagrante dello Stato italiano, tagliandone spese e sprechi, anche se ciò significherebbe inevitabilmente andare ad incidere la carne viva del consenso elettorale, del voto di scambio. Negli anni, nei decenni, la politica ha ingigantito l’apparato pubblico aumentando oltre ogni ragionevole limite il numero di occupati nel settore pubblico, anche ricorrendo pretestuosamente all’istituzione di enti e apparati vari, a scopo di creare sacche di elettori riconoscenti, degli stipendifici improduttivi e costosi utili solo a lorsignori per poter tenere le chiappe sulle loro comode poltrone a spese dei contribuenti onesti e di lavoratori e imprese serie, produttori e non consumatori di ricchezza. E questa manifestazione di sconcezza morale accade soprattutto in occasione della cosiddetta “legge mancia”, dove sono evidenti le miriadi di potentati elettorali-familistici-clientelari da soddisfare, una riedizione in chiave moderna dell’assalto alla diligenza ma senza l’audacia, il rischio e la virilità dei banditi d’antan.

Gran parte dell’apparato pubblico italiano è uno stipendificio per tornaconto politico-elettorale, oggi così potente e sindacalizzato da essere divenuto lobby e poter ricattare i centri del potere politico, indirizzandone la politica sempre a favore di una maggiore spesa pubblica improduttiva.

Per poter abbassare la pressione fiscale Renzi dovrebbe eliminare centinaia, migliaia di centri di spesa pubblica a livello centrale e periferico, licenziare almeno 1 milione di stipendiati nel settore pubblico, agire con l’accetta su molte regioni soprattutto nel Sud dove si “produce” una non-ricchezza, fatta non da attività privata d’impresa, ma dai soli lauti emolumenti provenienti da impiego pubblico. Ma ciò comporterebbe un sicuro grave danno elettorale e nei consensi, cosa che per chi come lui vive per piacere agli altri, è intollerabile e non percorribile; oltretutto il siluramento del buon Cottarelli è il peggiore indicatore della mancanza di volontà nell’agire in questa direzione.

Dovremo pertanto rassegnarci a valutare queste parole di Renzi sullo scambio tra riforme e minore pressione fiscale, come l’ennesimo parlare a vuoto dell’ennesimo Premier, con l’aggravante che Renzi condisce il tutto con una boria che non riesce a nascondere la propria vuotaggine politica.
 
Roberto Locatelli
 
Tratto da IL SUSSIDIARIO del 04/10/2015

ANESTESIA TOTALE ROSSONERA: IL DECLINO DI UNA SOCIETA' CHE FU GRANDE


Sono lontani i tempi gloriosi delle vittorie in Italia, in Europa e nel mondo, dove una squadra zeppa di campioni italiani e stranieri lottava per i massimi traguardi calcistici, dallo scudetto alla coppa dei campioni.

Pensare cos’è il Milan oggi e confrontarlo con quello del recente passato fa rabbia, quante possibilità avrebbero gli attuali difensori di vedere il campo al cospetto di campioni quali Tassotti, Baresi, Costacurta, Maldini, Filippo Galli o Nesta?

E i centrocampisti al cospetto di Donadoni, Rijkaard, Ancelotti, Evani, Boban, Albertini, Desailly, Gattuso, Pirlo, Seedorf?

Per concludere con gli attaccanti, raffrontati a Van Basten, Gullit, Massaro, Weah, Savicevic, Shevchenko, Kakà e Inzaghi?

E’ ingeneroso anche solo pensare a un raffronto, da un lato campioni che non solo hanno vinto tanto, tantissimo, ma soprattutto hanno insegnato il concetto di squadra e bel calcio a livello internazionale con continuità, dall’altro la situazione attuale…dove termini quali “gioco del calcio” e “squadra di calcio” sembrano parodiati.

Si obietterà che dopo tanti anni di successi è inevitabile che vi siano periodi grami, dove vittorie e trofei latitano, ed è vero, questo il tifoso lo capisce e lo accetta, sa che niente è eterno, non lo sono le vittorie e non lo sono i giocatori più vincenti o più amati, per questo la gioia dei momenti felici esplode in tutta la sua intensità, perché si sa che è effimera, legata al momento. Dal Milan di Sacchi a quello di Ancelotti, passando per quello degli “immortali” di Capello, in tutti questi cicli calcistici  vi sono stati picchi di vittorie e successivi declini, questo il tifoso lo capisce e lo tollera.

Ma ciò che sta accadendo ora al Milan trascende questa situazione, l’ultimo grande trofeo internazionale è stata la vittoria della Coppa Intercontinentale nel dicembre 2007, mentre in Italia si deve ritornare al mese di agosto 2011 con la vittoria della Supercoppa italiana.

Il palmares è vuoto da tempo, non solo, la squadra in questi anni non ha mai dato neppure l’illusione di poter concorrere per la vittoria di alcun trofeo, italiano o internazionale che dir si voglia.

Le ultime due stagioni hanno fatto detonare una situazione sempre più incandescente che dalla società e dalla proprietà, si ripercuote sulla squadra e più in generale sull’intero ambiente rossonero.

Da troppi anni a questa parte non esiste la benché minima programmazione societaria, e non per una mancanza di liquidità, ma soprattutto per una mancanza di capacità e volontà negli uomini al vertice della società: Berlusconi e Galliani.

Ad eccezione dell’ultima sessione di calciomercato, comunque errato perché dispendioso e scriteriato al tempo stesso, il Milan pur essendo per ricavi la seconda società calcistica in Italia, per diversi anni non ha fatto mercato per una mancanza di denaro, ragion per cui, si è dato a bere ai tifosi il fatto che la società è stata obbligata a vendere i suoi migliori giocatori per fare cassa e contestualmente abbassare il monte ingaggi.

Da qui si entra nel ginepraio-Milan, con un “padrone”, Silvio Berlusconi, in tante altre faccende affaccendato e, di fatto, disinteressato al Milan ma intento a economizzare il più possibile da una sua vendita. Tanto quel che poteva ottenere col Milan lo ha ottenuto, ossia una visibilità, un’immagine di vincente e una considerazione internazionale che senza la squadra di calcio A.C. Milan si sarebbe soltanto potuto sognare. Sulle vittorie calcistiche della squadra ha costruito la sua fortuna mediatica e, di riflesso, politica, in Italia e all’estero.

Tramite il Milan, Berlusconi ha sfamato a dovere il suo ego, sino alla sensazione di onnipotenza. E’ doveroso e onesto dire una sacrosanta verità: è il Milan ad avere fatto grande lui, non viceversa! Il Milan era già un club e un marchio conosciuto a livello internazionale, grazie a calciatori come Rivera, Sormani, Hamrin, Cesare Maldini, il trio svedese Gre-No-Li, Trapattoni, ad allenatori inarrivabili come Rocco e Liedholm, al fatto di essere stata la prima squadra italiana ad avere messo in bacheca la coppa dei campioni e ad avere avuto il primo giocatore italiano premiato con il pallone d’oro: Gianni Rivera.

Il Milan era già IL MILAN!

Con Berlusconi sono aumentati i trofei, rinverditi gli antichi fasti del passato, ma soprattutto ne ha avuto lustro lui personalmente, come immagine vincente che ha speso ovunque, in primis in politica.

L’attuale caos societario ha visto contendersi il ruolo di Amministratore Delegato tra il fido Galliani con la figlia Barbara, un duello solo mediaticamente taciuto e rimesso in carreggiata, dando competenze più sul versante tecnico a Galliani e più di marketing a Barbara, ma che, complice i risultati ignominiosi della squadra, nei mesi a venire potrebbero riemergere impetuosi come un fiume carsico con conseguenze negative  più probabili per Galliani.

Da anni la politica tecnica della società, da Berlusconi a Galliani, a parole, è quella di valorizzare i giovani e la squadra primavera per costruire uno zoccolo duro di giocatori italiani, o comunque fatti in casa, da far transitare in prima squadra; tuttavia le belle parole sanno di gran presa in giro in quanto vanno a cozzare con la triste realtà che ha visto negli ultimi anni la squadra essere assemblata a casaccio con giocatori a parametro zero o trentenni svincolati ai quali però pagare un oneroso ingaggio, che poi grava pesantemente sul bilancio della società. Elencare i giocatori immeritevoli di indossare la maglia del Milan sarebbe un esercizio noioso per il lettore e doloroso per chi scrive, tuttavia giova rimarcare che quando i soldi sono stati messi a disposizione si è acquistato un attaccante ventottenne riserva della Juventus (leggi Matri) per dodici milioni di euro!

E l’ipocrisia della politica dei giovani sta nel fatto che negli ultimi anni l’unico giocatore che dalla primavera del Milan è giunto in prima squadra è De Sciglio, e prima di lui bisogna risalire addirittura a inizio anni Novanta con Albertini!

E che dire dell’estate 2014 quando, per fare cassa, si è venduto per sei milioni di euro uno dei più promettenti giovani centrocampisti (Cristante) per poi prendere in prestito per un solo anno dal Chelsea un ectoplasma chiamato Van Ginkel?!

Che qualcosa in società non vada si ravvisa anche tornando con la mente a un anno e mezzo fa, con la cacciata di Allegri e la panchina affidata a Seedorf  il quale, con una squadra scarsa, fece nel girone di ritorno meno punti solo di Juve e Roma, ma che, inopinatamente e senza dare motivazioni alcune ai tifosi, fu messo alla porta per far spazio all’inesperto, ma da tempo pupillo di Galliani, Pippo Inzaghi.

Così quello che poteva essere un rinnovamento societario serio e moderno, si è capovolto in una restaurazione del “condor” Galliani, capace di fare mercato solo acquistando giocatori a parametro zero, o trentenni svincolati, oppure, come nell’ultima sessione di mercato, tessere trattative solo grazie ai suoi “buoni uffici” con gli altri Presidenti delle squadre di calcio, piuttosto che con influenti procuratori.

Così non si costruisce nulla, non si programma nulla ma, nella fattispecie, si consegnano agli allenatori un qualcosa più simile ad un Frankenstein che ad una squadra di calcio.

La scorsa stagione si è andati ben oltre il ridicolo, con una posizione in classifica vergognosa, un gioco inesistente e giocatori che il Milan ha deciso per i più diversi motivi di cedere ad altre squadre che tornano a farsi valere (vedi Torres e Matri), oltre alla constatazione che Max Allegri, l’allenatore della squadra campione d’Italia, vice-campione d’Europa, vincitrice sia della Coppa Italia che della Supercoppa Ialiana, è proprio colui che il Milan scaricò con arroganza un anno e mezzo fa.

E ancora, constatare che negli ultimi decenni la fascia di capitano l’hanno portata al braccio Gianni Rivera, Franco Baresi, Alessandro Costacurta, Paolo Maldini, e vederla indossata da Muntari e Montolivo…questo è troppo!

La situazione è difficile perché senza programmazione e navigando a vista, per il Milan si prospettano ancora diverse stagioni calcistiche irte di difficoltà, a meno che non succeda qualcosa che modifichi l’assetto societario, con l’uscita di scena del padrone, Silvio Berlusconi, e del suo fido Adriano Galliani.

Questa è l’unica e l’ultima speranza per i tifosi rossoneri, perché di questo passo rabbia e delusione andranno a rovinare persino i positivi e glorioso ricordi degli anni passati. Berlusconi e Galliani dovrebbero essere così “umili” (sigh!) da capire che nella vita nulla è eterno e che c’è un tempo per ogni cosa, non si è immortali, si può far bene per un certo lasso di tempo, poi bisogna cedere il passo. Capire di essere arrivati al capolinea di un certo percorso, di vita, professionale o politico, è segno di maturità e saggezza, ma temo che ai tifosi rossoneri non sarà risparmiata l’agonia come lo è stato per i cugini neroazzurri, il cui patron, Massimo Moratti, ha saputo lasciare al momento giusto, quando ancora considerazione e affetto erano al massimo livello, non sbiaditi da rancore e critiche.

Purtroppo l’arrogante onnipotenza che traspare dalle dichiarazioni e dai comportamenti dei due influenti reggitori del Milan non lasciano presagire nulla di buono per il futuro, ma di questo Berlusconi, così attento alla propria immagine di vincente si dovrebbe preoccupare. Perché in Italia il pallone è una cosa seria, al cui confronto la politica è roba per lattanti, e se si può ingannare il cittadino-elettore per decenni con clamorose giravolte politiche, dichiarazioni menzognere, e comportamenti squallidi; altrettanto non lo si può fare con la fede calcistica.

Ricordando ciò che disse tempo addietro il grande Winston Churchill, “gli italiani perdono le partite di calcio come se fossero guerre e perdono le guerre come se fossero partite di calcio”, è paragonabile a un peccato e considerato reato di lesa maestà ingannare il cittadino-tifoso, quanto facile e di ruotine ingannare lo stesso cittadino-elettore.

A questo punto non resta che sperare in un cambio di proprietà, con nuove figure dirigenziali e dello staff tecnico che, con una precisa idea tecnica, possano ricostruire una squadra dapprima credibile e poi vincente.

In mancanza di ciò meglio immergersi su YouTube a guardare le gesta dei Milan del passato e dei singoli giocatori che ci hanno deliziato con le loro vittorie e i loro gesti tecnici. Un amarcord in grado di lenire, seppur momentaneamente, il dolore.

Roberto Locatelli
 
Tratto da IL SUSSIDIARIO del 23/09/2015