"Il patriottismo è l'ultimo rifugio dei mascalzoni"
Samuel Johnson


martedì 30 dicembre 2014

2014, da Renzi a Genny il "diario" del (fu) Bel Paese

Il 2014 volge al termine, e seppur con la testa alle vacanze natalizie, è importante sfogliare e ricordare cosa è capitato e cosa ha riguardato l’Italia, il “fu Bel Paese”.
Ad inizio 2014 abbiamo la staffetta al ruolo di Premier italiano tra Enrico Letta e Matteo Renzi, un avvicendamento veloce e imprevisto sino a poche settimane prima tra due Presidenti del Consiglio non avallati dalle urne ma da manovre di Palazzo, tuttavia mentre Enrico Letta è da tempo un uomo politico che frequenta il potere centrale ed è un fedelissimo del candidato Premier di centrosinistra Bersani, Renzi ha scalato dapprima il PD poi ambito al ruolo di Premier con metodi e toni ben poco cortesi ed eleganti, il suo hashtag #Enricostaisereno ancora riecheggia in internet come una macchia indelebile nella credibilità della persona prima ancora del politico.
Renzi promette decisionismo, velocità, riforme, in occasione della sua proclamazione ne elenca numerose da votare e rendere operative, con cadenza mensile, sarà il primo atto di quella “annuncite” che non abbandonerà più il Premier in ogni occasione pubblica nella quale dimostra di saper affabulare con l’arte della retorica, essere più veloce di un pianista a twittare su internet, ma essere politicamente più inconcludente di un Luther Blisset sotto-porta.
Nel frattempo mentre il programma “supercazzola” di Renzi (copyright by M. Travaglio) prosegue, il Paese è sconvolto da un susseguirsi di inchieste giudiziarie che ne scoperchiano il diffuso e mai scalfito malaffare che ne compromette sempre più la credibilità sia a livello internazionale, ma soprattutto verso i cittadini italiani onesti che si destreggiano tra tasse e balzelli sempre crescenti, perdita del posto di lavoro, difficoltà ad arrivare a fine mese, in un cortocircuito di rabbia e depressione le cui conseguenze sono ancora tutte da riscontrare nel prossimo futuro.
Il semestre europeo di Presidenza italiana del Consiglio dell’Unione Europea si sta per concludere nel disinteresse generale dei media italiani, ma giova ricordarne l’apertura, con un indimenticato intervento del Premier Renzi che, anziché concentrarsi sui reali problemi strutturali dell’Europa, divaga sui massimi sistemi, tirando in ballo Telemaco, tra l’ironia e la delusione degli intervenuti dal resto d’Europa per ascoltarlo. Ciò spiega perché pochi mesi dopo l’Economist raffigurerà il nostro Premier come un bimbo con il gelato in mano su di una barca (l’Europa) che affonda.
Quando qualcosa di concreto e immediato deve essere fatto, Renzi e i pezzi grossi del calcio italiano e dell’ordine pubblico, battono in ritirata, in occasione della finale di Coppa Italia tra Napoli e Fiorentina, scoppiano disordini plurimi nei dintorni dello stadio di Roma, all’interno dello stesso la tensione è alle stelle, i tifosi napoletani capitanati dal loro leader “Genny a’carogna” non permettono lo svolgimento della partita se prima non hanno rassicurazioni in merito alle voci che si rincorrono sulla possibile morte di un tifoso napoletano (il quale, gravemente ferito, purtroppo spirerà tempo dopo). Il capitano del Napoli, alti funzionari delle forze dell’ordine e chissà chi altri, vanno in pellegrinaggio al cospetto di “Genny” per informarlo, ammorbidirlo nei suoi intenti di bloccare il gioco, e rassicurare tramite lui tutta la tifoseria partenopea,  arrabbiata e minacciosa. Nel frattempo Renzi e i capi del calcio italiano, come altre “autorità”, se ne stanno sdraiati sulle loro comode e regali poltrone o a passeggio mani in tasca lungo la tribuna autorità, disinteressati a quanto avveniva ma impazienti che iniziasse la partita per potersi finalmente godere il divertimento dell’ ultima sfida pallonara della stagione.
Sono stati accontentati con un po’ di ritardo grazie all’intercessione di “Genny”, l’unico che non aveva poltrona regale sulla quale sedersi né mani in tasca, è passato per un personaggio cattivo, losco, negativo, ma che dire di quelli in tribuna autorità? Hanno dimostrato la loro autorità? O meglio, hanno dimostrato anche solo di essere uomini? L’ignavia è un peccato tanto quanto la collera e l’ira, ma al di là del ruolo professionale e sociale che si ricopre e del rango nella scala sociale, un uomo, se è tale, gli attributi li deve mostrare nel momento del dovere…non pervenuti!
Dal Mose all’Expo, sino ai recenti fatti dell’inchiesta di “Mafia Capitale”, oramai si ha la certezza che in questo Paese il malaffare è capillare, trasversale tra le forze politiche, incistato proprio nel cuore della politica e del mondo degli affari, e che dell’onesto cittadino non si curano, anzi ne approfittano e se ne fanno beffe.
I nomi implicati in questi scandali sono già noti alla cronaca giudiziaria e alla cronaca nera da decenni, rimandano a un passato mai del tutto terminato che riporta al terrorismo, agli omicidi e alle tangenti, come se il tempo si fosse fermato, come se fosse la disonestà ad avere dignità e considerazione sociale.
Come nel caso della finale di Coppa Italia, anche qui i politici, da destra a sinistra (ma ha ancora senso fare questa distinzione?!) andavano in pellegrinaggio da faccendieri e loschi affaristi plurindagati, plurinquisiti e, talvolta, pluricondannati, per ottenere favori, potere, denaro.
A quanto detto si affiancano i dati macroeconomici del Paese, e non c’è altro da fare che disperarsi, il debito pubblico italiano è stimato dal Fondo Monetario Internazionale quasi al 137% del pil, 5 punti percentuali in più rispetto alle previsioni del governo italiano, e la Banca d’Italia ha comunicato che a ottobre il debito pubblico italiano è tornato a crescere, aumentato a oltre 2.157 miliardi di euro, mentre sale ancora il numero dei disoccupati, infatti a ottobre i senza lavoro, secondo i dati provvisori dell’Istat, sono 3 milioni 410 mila, attestandosi così al 13,2%.
E ancora, per non farci mancare nulla, è di poche settimane fa la pubblicazione del Corruption Perception Index 2014 di Transparency International, che riporta le valutazioni degli osservatori internazionali sul livello di corruzione di 175 paesi del mondo. L’indice 2014 colloca il nostro paese al 69esimo posto della classifica generale, come nel 2013, fanalino di coda dei paesi del G7e ultimo tra i membri dell’Unione Europea. Rispetto al passato l’Italia ferma la sua rovinosa discesa verso il basso della classifica, ma resta maglia nera tra gli Stati occidentali. Anzi peggiora la sua situazione complessiva in Europa, dato che Bulgaria e Grecia la raggiungono al 69esimo posto, migliorando la loro posizione in classifica. Adesso dietro all’Italia, in Ue, non c’è più nessuno.
Nel frattempo vista la drammatica situazione economico-sociale dell’Italia, la società di rating Standard&Poor’s declassa l’Italia a livello “BBB-“, che significa essere un solo livello sopra quello di “junk”, spazzatura, riferito alla credibilità del Paese a livello internazionale. 
E come dare loro torto. Non avevamo certo bisogno delle analisi dei super-analisti di cotanta Agenzia di rating internazionale per renderci conto di come si è sgretolata la credibilità della società italiana non solo agli occhi degli stranieri, ma pure ai nostri di persone oneste. 
Forse un tempo, nel Secondo Dopoguerra lo è stato, ma ora, se questo è un Bel Paese…



Roberto Locatelli


Tratto da IL SUSSIDIARIO.NET del 28/12/2014
http://www.ilsussidiario.net/News/Politica/2014/12/28/SPILLO-2014-da-Renzi-a-Genny-il-diario-del-fu-Bel-Paese/567014/

sabato 6 dicembre 2014

I "TOTEM" CHE HANNO DISTRUTTO L'OCCIDENTE

“Il migliore dei mondi possibile”, così viene incensata quella parte di mondo che viene identificata con il concetto di “Occidente”. Sarà vero? Forse è il caso di chiedersi che civiltà è quella Occidentale, sia per quanto concerne la vita dei singoli individui, sia per quanto concerne la politica estera delle èlite politiche al potere.
La civiltà Occidentale ha le sue fondamenta nel bagaglio storico, filosofico, tecnico, organizzativo e sociale delle due civiltà classiche per antonomasia, quella greca e quella romana, sulle quali poi si è saldata la cultura legata alla religione cristiana che, nelle sue declinazioni e con i suoi meriti e demeriti, ha segnato la storia Occidentale attraverso il Medioevo e l’Umanesimo-Rinascimento, influenzando notevolmente la vita delle popolazioni ivi presenti con conseguente fiorire di attività, studi e applicazioni tecniche che hanno svariato dalla filosofia, alla teologia, dalla medicina, all’insegnamento, dalla politica, all’arte (musica, pittura, scultura) e l’architettura.
Con la Rivoluzione Francese, ha avuto inizio una lenta ma inesorabile erosione del potere temporale della Chiesa, e nel breve volgere di due secoli si è giunti ai giorni nostri, dove il magistero della stessa risulta confinato sempre più dell’alveo della sola dottrina religiosa, portando la società ad un approccio laico scevro da condizionamenti religiosi.
Ma cosa è oggi il mondo Occidentale? Come lo declineremmo? Cosa è rimasto della sua capacità di creare cultura a tutti i livelli dell’ingegno umano?
Oggi quello che si definisce “mondo Occidentale” è perlopiù un mondo dove la cultura e la civiltà non dimorano da tempo; i valori collettivi basilari del vivere civile, quali l’onestà, la lealtà, l’onore, la fedeltà, la sincerità, l’educazione, che caratterizzarono in passato questa parte di mondo, sembrano irrimediabilmente persi sull’altare dei nuovi idoli: potere, ricchezza e status.
L’Occidente si caratterizza solo per tre aspetti, l’economicismo sfrenato, l’idolatria della “democrazia” e la pretesa superiorità verso il resto del mondo, considerandosi “il migliore dei mondi possibile”.
I valori collettivi tradizionali, che identificavano un individuo nella sua comunità di appartenenza e che, per osmosi, caratterizzavano la società tutta, sono stati sostituiti dalla perversa logica del consumismo e dal denaro. Beni, cose, oggetti, meglio se tanti, costosi e di lusso, identificano oggi la persona nella comunità di appartenenza, mentre il denaro è la ragione di vita. L’individuo non viene più considerato tale per i valori che rappresenta e che esprime nell’agire quotidiano, bensì in base al suo essere “consumatore”, se non è utile alla filiera consumo-produzione, è un escluso, una nullità. Si badi bene che ho volutamente inteso scrivere di filiera consumo-produzione, e non come logicamente ci si aspetterebbe produzione-consumo, perché da tempo i maggiori esperti di economia ripetono il mantra che “bisogna stimolare i consumi per far ripartire la produzione”(!), il che, se lo si analizza bene, è un’assurdità, di solito si dovrebbe produrre ciò che serve, pertanto acquistare i prodotti che servono all’individuo, invece la nostra società è così sclerotizzata che chiede alla persone di annullarsi in quanto tali, diventare meri consumatori di ogni qualsivoglia stupidaggine, pur di permettere che la produzione non si fermi.
E’ il terminale-uomo a disposizione delle cose! Non si lavora per vivere, ma si vive per consumare, non contentandosi mai perché sempre nuovi beni vengono prodotti, sempre nuove cose che danno status sociale vengono prodotte, in un vortice senza fine dove si è creato il meccanismo perfetto dell’infelicità, infatti la tensione delle persone è tutta proiettata verso il futuro senza mai assaporare il presente, senza mai potersi sedere per godersi le cose o i beni acquistati e faticosamente sudati, perché nuove necessità incombono, a un ritmo sempre più frenetico. Un mondo che si caratterizza come un enorme supermarket dove la vita scorre tra produrre e spendere, e chi rimane indietro è perduto, un reietto, un emarginato. Le persone non sono più tali in base ai valori che guidano le  loro azioni, bensì in base alla loro capacità di essere dei lavandini, o meglio, dei water, capaci di digerire continuamente beni e cose, cose e beni.
Il concetto di “democrazia” è diventato il totem ideologico delle classi politiche occidentali contemporanee, tanto da muovere pretestuosamente guerre in qualsivoglia parte del mondo con finalità tutt’altro che onorevoli, ma mascherandole con la volontà di esportare la “democrazia”. Termine questo in gran lunga svilito e stuprato nella stragrande maggioranza dei Paesi occidentali in quanto da tempo questi Stati si sono adeguati ad essere oligarchie, e le sfide elettorali null’altro sono se non pseudo-competizioni tra lobbies e gruppi di potere che delle volontà dei cittadini si fanno beffe una volta ottenuto l’agognato voto e la conseguente fetta di potere.
La democrazia è pertanto solo un meccanismo per la gestione del potere politico e sociale, non è, e non potrà mai essere, un valore a sé stante, né identificabile con il concetto di “bene”, da contrapporre al “male” incarnato da Stati che democratici non sono, pena ulteriori perdite di vite umane innocenti sulla coscienza.
Da ultimo, l’ineguagliabile superbia dell’Occidente sul resto del mondo in virtù della superiorità economica, finanziaria,tecnologica, produttiva e militare, tale per cui le élite politiche di questi Paesi si arrogano il diritto di ingerenza negli affari di qualsivoglia Stato del mondo, senza dover chiedere conto a nessuno in quanto le maggiori Organizzazioni Internazionali sono ampiamente sotto il loro controllo (Onu, Nato, Fmi).
In un mondo siffatto, con questi valori fondativi, non stupisce poi il rovescio della medaglia, fatto di una moltitudine di problematiche che interessano i cittadini  nella sfera della salute mentale e comportamentale, tali da divenire vere e proprie emergenze sociali. Depressione, nevrosi, anomia, tossicodipendenza, alcolismo, ludopatia, sono il bubbone marcescente e putrescente in seno al mondo civilizzato Occidentale, e vi rientrano tutti coloro che sono impossibilitati a trasformarsi in individui-lavandini o individui-water per lo scarico continuo dei beni di consumo, oppure perché consci di non trovare l’adeguata collocazione sociale in quello che viene venduto come “il migliore dei mondi possibili”.
Un mondo dove l’avere troppo, annoia, e lo si vede per i giovani e i ricchi, sempre più dediti a trasgressioni e sballi estremi; mentre gli anziani, sempre più soli, tirano avanti tra giochi d’azzardo e sconce trasmissioni d’intrattenimento televisivo, dove si creano artificiosamente quei sentimenti che nella realtà non riescono più a vivere.
Hanno un bel da fare i vari Pontefici che da decenni a questa parte cercano di rimettere l’attenzione dei loro fedeli sui veri valori dell’individuo, oramai si vive in un mondo che ha creato una società dell’avere, del prodotto, dello status, dell’effimero, tesa sempre verso il futuro, senza mai cogliere e godere la vita nel presente, condannando la popolazione alla certezza dell’infelicità, dove l’unico essere umano che interessa è “il consumatore”.
Ma forse c’è un’ultima possibilità, e come le medicine più efficaci, che sanno essere amare e persino dolorose nell’immediato per poi dispiegare i loro effetti benefici nel futuro, il rimedio potrebbe essere una guerra. Sì, una guerra che interessi direttamente sul proprio territorio il mondo Occidentale. Non parlo di atti di terrorismo, guerriglia o cose simili, bensì una guerra vecchio stile, con coinvolgimento diretto e massiccio della popolazione tutta.
Forse troppe generazioni private di questo dramma collettivo non sono un bene per la società, perché ci si impigrisce, si diventa arroganti, avari, egoisti, amorali, si perdono i veri valori dell’esistenza, che per prima cosa sono proprio il senso della vita e il vivere, sostituiti con valori fasulli, artificiosi che hanno portato a incensare comportamenti meschini, villani e arroganti a tutti i livelli del vivere civile, sin nelle altre sfere del potere politico ed economico.
La guerra porta distruzioni materiali e drammi umani, perdere le persone care, registrare per sempre nella propria mente gli orrori della violenza, convivere quotidianamente con la miseria e la morte sono cose che non si vogliono e non si devono augurare a nessuno. Ma come la lava di un vulcano quando passa distrugge tutto quello che incontra per poi, una volta ferma e raffreddata, torna a essere terra fertile per nuova vita, così anche la guerra ha effetti benefici, infatti riduce la vita delle persone all’essenziale, la libera dai mille orpelli mentali e materiali nei quali è stata rinchiusa, privandola della sua linfa vitale, per restituirle la sua vera essenza, che è il godimento quotidiano della vita stessa. Inoltre nella guerra ci si sente tutti parte dell’immensa tragedia collettiva, ci si stringe assieme nelle necessità, si fa comunità, si rinuncia all’egoismo viscerale della società dell’accaparramento continuo, per essere parte di un insieme con lo stesso vissuto, le stesse esigenze, i medesimi sogni di vita e di pace.
Sì, perché un altro senso della guerra è quello di giungere un giorno, che si spera sempre arrivi il prima possibile, alla pace.

Una guerra potrà salvare e redimere l’uomo e la società occidentale?


Roberto Locatelli


Tratto da IL SUSSIDIARIO.NET del 01/12/2014
http://www.ilsussidiario.net/News/Esteri/2014/12/1/SPILLO-I-totem-che-hanno-distrutto-l-Occidente/559130/

domenica 23 novembre 2014

IL 10% DI VOTI CON IL "VUOTO" INTORNO

Secondo gli ultimissimi sondaggi sulle intenzioni di voto degli italiani, la Lega Nord sta crescendo vertiginosamente, attestandosi oltre il 10% di consenso elettorale su scala nazionale, il che è sbalorditivo se si pensa che un anno fa quando l’attuale segretario Matteo Salvini venne eletto trovò un partito che a fatica raggiungeva il 3% a livello nazionale, e che alle Elezioni Europee della primavera scorsa si attestò al 6% di consensi su scala nazionale.
Una crescita esponenziale che ha portato i media a identificare Salvini come “l’altro Matteo”, in antitesi all’attuale Premier Renzi, che può invece fregiarsi di essere semplicemente Matteo.
Ma proprio mentre questa crescita esponenziale parrebbe dare ragione alla linea politica e all’approccio mediatico di Salvini, proprio in quest’ultimo anno con la segreteria di Salvini si celebra definitivamente il de profundis della Lega Nord come l’abbiamo conosciuta per quasi trent’anni.
C’era una volta in origine la Lega Lombarda, fondata nella prima metà degli anni Ottanta da Umberto Bossi che, nel breve volgere di pochi anni, si affacciò sulla scena nazionale con una forza dirompente. All’epoca non c’erano internet e i social network, tutte le notizie politiche arrivavano ai cittadini-elettori filtrate da giornali (quotidiani e periodici) e televisioni lottizzate tra i maggiori partiti politici all’epoca sulla scena, quali DC, PCI e PSI. Erano gli anni del CAF (Craxi-Andreotti-Forlani), del “pentapartito”, della spesa pubblica dissennata ma funzionale all’estensione della longa manus che i partiti operavano su pezzi sempre più grossi della società civile con finalità di voto di scambio con la conseguenza di portare il debito pubblico dal 60 al 120% Pil, della “Milano da bere” e delle tangenti che di lì a poco avrebbero terremotato l’intero emiciclo parlamentare.
La Lega Lombarda irruppe sulla scena politica in modo impetuoso, facendo un parallelismo canoro, si potrebbe dire che ebbe lo stesso impeto di Vasco Rossi nella musica italiana, in un mondo canoro dominato dai grandi cantautori schierati politicamente che continuavano a codificare la società esistente con temi legati alla “lotta di classe”, Vasco Rossi portò in musica il “disagio di vivere”, lo sballo e la rabbia della generazione post-sessantottina che si affacciava sulla scena sociale; ecco, la Lega Lombarda fu questo, squassò la classe politica esistente e sparigliò le carte di un mondo politico solo ideologicamente diviso e blaterante di tematiche e difesa degli “interessi di classe”, in realtà ben arroccata a difesa dei propri privilegi, del proprio potere e della propria impunità.
Al concetto ideologico di lotta di classe, contrappose il discrimine sociale, economico e politico legato alla dicotomia geografica Nord-Sud del Paese.
Con la sola forza della militanza che volantinava, affiggeva volantini, faceva gazebo nei mercati e imbrattava i muri con slogan politici semplici e immediati, la Lega mieteva sempre più successo, non offriva all’elettorato una visione del mondo per classi contrapposte, bensì una visione di comunità, collettività, non una lotta politica basata sul censo, sul reddito, sul ruolo sociale, bensì declinato all’appartenenza territoriale, all’humus storico-culturale che un territorio sapeva esprimere e irraggiare poi in tutti gli aspetti del vivere civile, da quello economico a quello produttivo, da quello culturale a quello solidaristico-sociale.
La crescita nei consensi portò la Lega Lombarda a federarsi con le altre “leghe” presenti nelle regioni del nord Italia, creando così la Lega Nord, con segretario federale sempre Umberto Bossi, e questa presenza fu importante per l’esplosione del fenomeno passato alla storia come “Mani Pulite”, l’immensa inchiesta della Procura di Milano affidata a un pool di magistrati che, indagando a partire da una tangente di poche decine di milioni di lire, scoperchiò un vaso di pandora fatto di corruzione, concussione e diffuso malaffare che coinvolgeva tutti i partiti del panorama politico italiano, terremotandone la stragrande maggioranza, assieme a politici di primissimo piano sino ad allora adulati, temuti e rispettati.
La Lega Nord era un tutt’uno con il suo leader Umberto Bossi, con un gesticolare a volte volgare e un eloquio tutt’altro che raffinato, ma forte di una carica emotiva esaltata dalla voce roca e profonda e da poche ma efficaci idee, bucava lo schermo, faceva parlare di sé riempiendo pagine di quotidiani e periodici, che seppur ostili non potevano fare a meno di farlo attore principe della politica italiana.
I cardini della Lega ruspante delle origini erano la contrapposizione Nord contro Centro-Sud, rimarcando in particolare la differenza di peso e considerazione per quanto riguardava la produzione della ricchezza, l’incidenza della spoliazione fiscale, l’erogazione di contributi pubblici a fondo perso, la provenienza territoriale dei dipendenti e dei funzionari pubblici.
Ma un altro aspetto, non meno importante, era la lotta alla partitocrazia e ad una classe politica gerontocratica, il che significava un secco e netto diniego verso i politici di professione e l’utilizzo della pubblica amministrazione per farne potentati familistici e parentali.
Nel corso dei successivi vent’anni la Lega Nord attraversò varie fasi con alterne fortune elettorali e cambiò diverse volte pelle a seconda che fosse in maggioranza o all’opposizione del governo italiano. Si passò dall’iniziale e generico concetto di autonomia della Lombardia e delle regioni del nord Italia, a un più organico progetto di federalismo (in ciò aiutata dalla presenza di Gianfranco Miglio), dalla volontà di operare una secessione del territorio del nord Italia, ribattezzato “Padania”, al concetto di Lombardo-Veneto, dalla Devolution agli ultimi anni con le proposte di federalismo fiscale, federalismo territoriale, ai costi standard, in una politica di continua attenuazione e delusione degli obiettivi e delle ambizioni iniziali.
L’agonia del partito è iniziata con l’alleanza del 2001 alle politiche nazionali, comprendente Forza Italia, Alleanza Nazionale e Centro Democratico nella coalizione ribattezzata “Casa delle Libertà”, un’alleanza a detta di taluni necessaria per vedere rimpinguate le esanimi casse del partito per iniziative di vario titolo non andate a buon fine, e come non bastasse durante la legislatura sopravvenne l’ictus che colpì il capo indiscusso, Umberto Bossi. Questo accadimento ebbe come conseguenza la creazione del cosiddetto “cerchio magico”, una ristretta èlite di fedelissimi che vicini al capo decidevano le sorti del partito e degli appartenenti al partito. Ed è da qui che è iniziata una lunga guerra sotterranea che negli anni, come un fiume carsico che lentamente scava la roccia, ha portato a lotte intestine dapprima abilmente sottaciute e poi, a seguito delle indagini della magistratura per una gestione dissennata e truffaldina dei soldi del finanziamento pubblico ai partiti, a emergere con virulenza, culminando nella cosiddetta “notte delle scope”, dove Roberto Maroni e i suoi fedelissimi aggregati sotto l’etichetta di “barbari sognanti” presero le redini del partito e iniziarono un’opera di epurazione degli appartenenti al “cerchio magico”.
Fu un rinnovamento di facciata, infatti sono rimasti in auge sia livello nazionale che a livello locale i soliti personaggi della prima ora, prima “bossiani di ferro” poi “maroniani” per convenienza e sopravvivenza politica, in barba alla lotta nei confronti dei “politici di professione”, c’è stato un assopimento delle linee politiche degli esordi, rozze forse, ma semplici, chiare e genuine, per lasciare spazio a “maneggiatori” da Prima Repubblica.
Quello che fu un movimento nato tra la gente per rivendicare attenzione verso gli interessi della gente delle popolazioni del nord Italia, nel volgere di due decenni ha progressivamente perso la sua carica di spontanea genuinità per disgregarsi tra politici salottieri di professione, arrivisti locali, estremisti di destra, perditempo senza arte né parte, ma soprattutto una linea politica “autonomista” sfumata, con poca presa e credibilità tra i cittadini-elettori del proprio territorio di riferimento.
E qui entra in gioco l’azione politica del neo-segretario Salvini, l’altro Matteo, il finto nuovo che avanza, infatti da un quarto di secolo è in Lega Nord e da almeno vent’anni è percettore di emolumenti per incarichi pubblici di vario tipo (consigliere comunale a Milano, Eurodeputato a Bruxelles), che in barba al nuovismo che dovrebbe rappresentare, vanta già un curriculum familistico da politico navigato, infatti l’ex moglie Fabrizia Ieluzzi è stata per quasi dieci anni alle dipendenze del Comune di Milano, assunta a chiamata dal 2003 e confermata più volte prima da Gabriele Albertini e poi da Letizia Moratti, mentre l’attuale compagna Giulia Martinelli è stata assunta sempre a chiamata nella Regione Lombardia a guida Roberto Maroni all’interno dello staff dell’assessore al walfare Maria Cristina Cantù. Alla faccia del familismo da Prima Repubblica!
Ma quel che è peggio, ha trasformato un partito autonomista-indipendentista, in un partito di estrema destra, passando dalla difesa degli interessi dei cittadini della Padania, all’abiura di questo termine per proporsi quale baluardo sull’intero territorio nazionale italiano dall’invasione degli immigrati, dal sogno di una Padania indipendente e mitteleuropea, alla difesa della sovranità italiana dalle pretese di Bruxelles, dalla volontà di essere in un’Europa dei popoli, alla volontà di uscire dall’Euro, allontanarsi dall’Europa all’insegna di una autarchia dal vago sapore di ventennio mussoliniano.
Come se il problema della mancanza di sopravvivenza delle imprese del nord Italia fosse imputabile all’euro e alla Merkel, anziché alla pelosa burocrazia statale, alla spoliazione fiscale che con serrata cadenza quotidiana interessa le imprese, alla farraginosità della magistratura, ad una scuola che non prepara adeguatamente al mondo del lavoro e, più in generale, a un clima culturale di odiosa diffidenza e invidia verso chi lavora e produce ricchezza.
Oggi più nessuno è quello che la storia ha fatto essere, a sinistra si organizzano cene da 1000euro con imprenditori per lisciare loro ben bene il pelo, mentre a destra ci si concentra sullo sgravare gli anziani per quanto riguarda dentiere e operazioni di cateratta, e quello che fu il partito nemico dell’Italia unita tanto da farne tremare le gambe anni addietro, ora si erge a paladino della stessa in funzione anti-immigrati e anti-Europa.
Non c’è più la ruspante passione, la genuina rozzezza, la verginità politico-istituzionale che permetteva anche di commettere errori senza per questo fosse scalfita la fiducia dei cittadini-elettori, il sogno di potersi “autodeterminare” o con un federalismo estremo o con una secessione territoriale nel nome della Padania.
E’ quel che resta della Lega Nord, un contenitore politico che, a parte fungere da ufficio di collocamento per pochi eletti, familiari e affini, non ha più nulla dentro per i cittadini del Nord; tanto varrebbe liquidarla e consegnarla ai libri di storia come l’ennesima incompiuta in un Paese, l’Italia, di per sé somma e contenitore di storie incompiute.


Roberto Locatelli


Tratto da IL SUSSIDIARIO.NET del 23/11/2014
http://www.ilsussidiario.net/News/Politica/2014/11/23/CASO-LEGA-NORD-Il-10-di-voti-con-il-vuoto-intorno/557346/

domenica 9 novembre 2014

RENZI E SALVINI, I "TEO-FIABA" CHE HANNO CONQUISTATO L'ITALIA

Per vent’anni i media ci hanno propinato le gesta tra pubblico e privato dell’ex-cavaliere Silvio Berlusconi, sia come Premier che come capo dell’opposizione parlamentare a governi di centro-sinistra, declinandolo in varie maniere, quali “cavaliere nero”, Silvio “pelvico”, cavalier “bunga-bunga”, in un crescendo di notizie che avevano a che fare più con le vergogne individuali del suddetto piuttosto che con la capacità di mettere in atti legislativi il proprio approccio politico alle problematiche sociali ed economiche del Paese.
Ora che Berlusconi ha da tempo imboccato la parabola discendente della propria influenza e credibilità politica, stampa, radio e televisioni si sono lanciati su colui che ne sta ripercorrendo le orme ma aggiornato ai tempi moderni per linguaggio e comunicazione, ossia Matteo Renzi.
Il finto nuovo che, senza essere votato da alcunché, ricopre il ruolo di Premier e riempie quotidianamente paginate di giornali, ore di telegiornali e comparsate televisive, per poter dar sfoggio della propria arte retorica, guarnita dagli immancabili “selfie” e “tweet”, che lo rendono molto piacione 2.0
Ma ancora non bastava, e così negli ultimi giorni mentre l’informazione diviene bulimica a furia di nominare Matteo Renzi, ecco che un nuovo personaggio politico trova il proscenio mass-mediatico, colui che viene ribattezzato l’altro-Matteo, trattasi di Matteo Salvini.
Salvini ha un unico merito, quello di aver preso tra le mani un partito ridotto al 3% di consensi a livello nazionale e di averlo portato a scalare le percentuali del consenso politico sino a superare la temibile soglia del 4% alle ultime elezioni europee, per giungere al 9% come stimato dagli ultimi sondaggi. Ma questo è tutto.
Renzi e Salvini, il primo è semplicemente Matteo, il secondo è l’altro Matteo.
Vengono dipinti come il nuovo che avanza in politica, sono entrambi nati negli anni Settanta, ma a parte l’età anagrafica di nuovo c’è poco altro, se non nulla.
Renzi fa politica da circa vent’anni, Salvini da un quarto di secolo, entrambi, bontà loro, non hanno mai avuto a che fare con il mondo del lavoro, quello vero, dove si producono beni o servizi utili alla società, dove si lavora per obiettivi, dove capacità e sacrificio sono un tutt’uno al fine del risultato lavorativo, ma hanno sempre avuto la fortuna o la capacità di stare allineati, in scia, a chi contava nei rispettivi partiti, con ossequio e accondiscendenza, affinando l’arte della retorica (declinabile anche come “cianciare a vuoto”, ma facendolo con trasporto e partecipazione per risultare credibili e intelligenti), impreziosendola con ciò che nella nostra moderna società occidentale va più di moda, l’utilizzo dei social network (twitter/facebook) e l’immancabile “selfie”.
Renzi nei pochi anni nei quali è assurto all’attenzione mediatica è stato in grado di dispensare dichiarazioni su tutto e il contrario di tutto, sempre palesando la stessa protervia, sempre con tracotanza, con insofferenza verso quei pochi che gli facevano notare contraddizioni e limiti (evidenti!) nei suoi ragionamenti e ancor più nei suoi atti politici. La credibilità come persona l’ha perduta mesi addietro con l’hashtag #Enricostaisereno, a seguito del quale diede poi una spallata al collega di partito per sedersi sulla poltrona di Premier, mentre quella politica trova il suo apogeo con la questione dell’Articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, questione irrilevante nella trattazione delle problematiche legate al mondo del lavoro per il Matteo Renzi del 2012, mentre di vitale importanza per il Matteo Renzi del 2014 nell’approvazione del suo Job Act. Ondivago come il più subdolo e navigato dei politici politicanti, non ha preparazione né professionalità in nessun campo dell’intelletto umano, si riserva volta per volta di dichiarare ciò che più lo può mettere in una buona luce mediatica mentre per il “fare” c’è tempo; d’altronde si dice che c’è più tempo che vita!
Salvini ha politicamente galleggiato nella Lega Nord per un quarto di secolo, è stato “bossiano di ferro” quando Bossi era il capo assoluto e indiscusso leader della Lega Nord, nonostante il legame con Berlusconi che provocava continui e persistenti mal di pancia tra la base leghista, è divenuto un “barbaro sognante maroniano” quando larga parte della dirigenza rimasta in disparte rispetto alla ristretta èlite decisionista denominata “cerchio magico”, decise di scalare la vetta del partito.
Senza dimenticare che è stato un componente dei Comunisti Padani quando nel 1997 la Lega Nord promosse l’elezione del Parlamento Padano in un’ottica d’indipendenza della Padania, salvo poi, nel corso del 2014 da leader del partito, stringere alleanza con l’estrema destra francese di Marine Le Pen alle ultime elezioni europee, e aver accettato che sfilassero anche gli esteremisti di destra di CasaPound all’ultima manifestazione contro l’immigrazione clandestina.
Non solo, è passato dal concetto di un partito che lottava per l’indipendenza della Padania con funzione secessionistica dall’Italia, ad un partito che vuole mettere radici al Sud con argomentazioni anti-Europa e anti-Euro, proprio mentre i maggiori partiti secessionistici d’Europa (catalani e scozzesi) lottano contro i rispettivi Stati centrali coniugando l’approccio anti-centralismo statuale con un’ottica filo-europea. Anche in questo caso la politica è ondivaga, senza un tracciato intellettualmente coerente.
Se qualcuno nutre speranze sui due finti giovani della politica italiana è bene che si ravveda per tempo, prima di accorgersi, magari anche in questo caso dopo un ventennio, che era tutto fumo e niente arrosto, che oltre all’immagine e alla retorica, ci sono poche idee ma confuse, e soprattutto nessun retroterra culturale che faccia da base alle proposte politico-legislative, ma una continua rincorsa a “flirtare” mediaticamente per compiacersi una base elettorale sempre più ridotta ma ancora capace di ingannarsi…come fosse la prima volta.

P.S.
Quando ero adolescente nella nostra compagnia c’era un amico che aveva una qualità inarrivabile, quella di spararla sistematicamente grossa, neanche a farlo apposta si chiamava Matteo, e proprio per questo gli venne affibbiato l’appellativo di “Teo-fiaba”.
Credo che le rispettive (curvi-)linee politiche di questi due giovani e già vecchi mestieranti si possano proprio bollare come le politiche dei due Teo-fiaba!


Roberto Locatelli

Tratto da IL SUSSIDIARIO.NET del 09/11/2014
http://www.ilsussidiario.net/News/Politica/2014/11/9/SPILLO-Renzi-e-Salvini-i-Teo-fiaba-che-hanno-conquistato-l-Italia/552011/



domenica 12 ottobre 2014

LA RANA CHE "SPIEGA" I PROBLEMI DELL'ITALIA

Dall’inizio della crisi finanziaria nel 2008, presto tramutatasi nel volgere di pochi mesi in crisi economica e poi occupazionale, i media hanno dipinto la situazione dell’Italia in varie maniere, come il Titanic, come una palude, come una matassa, come la Costa Concordia rovesciata sugli scogli dopo aver rischiato un terribile e drammatico naufragio. In quest’articolo propongo un’altra maniera di declinare l’attuale situazione di crisi dell’Italia, che lungi dall’avere origini esogene “europee”, colpevolizzando a turno Berlino piuttosto che Bruxelles, ha molto più banalmente una origine endogena, e semmai la crisi avviata nel 2008 ha solo fatto da catalizzatore a una situazione di evidente difficoltà già ampiamente manifesta.
Vedo l’Italia come una “rana bollita”, nel mondo del web digitando questo termine si possono trovare numerosi video e spiegazioni di questo esperimento, e il comportamento dell’ignaro anfibio in una situazione particolarmente spiacevole è la stessa che sta capitando a questo Paese.
La rana viene adagiata in un recipiente riempito con acqua fredda, scaldato sul fornello con fiamma bassa, e con l’acqua così fresca non sente la necessità di andarsene. Man mano la temperatura cresce, tuttavia il tepore dell’acqua non incentiva la rana ad andarsene dal recipiente. La temperatura cresce e l’acqua inizia a scaldarsi e poi a scottare, ma a questo punto la rana non ha più la forza per potersi liberare da quella situazione e, tempo pochi minuti, potrà solo soccombere bollita nel recipiente.
Questo è quello che sta capitando in Italia, una crisi figlia non tanto di quella finanziaria del 2008, quanto di un lungo periodo che parte dagli anni ’70 del secolo scorso, dove a fronte della necessità di risposte di sistema la politica nella migliore delle ipotesi ha voltato la testa dall’altra parte, nella peggiore ha affrontato il problema alla propria maniera, non risolvendolo, anestetizzandolo momentaneamente per poi ritrovarselo più virulento e impetuoso tempo dopo, come un fiume carsico che dopo tanto scorrere sotterraneo, emerge tra le rocce.
Così è stato per il problema dell’approvvigionamento energetico (e relativo costo per famiglie e imprese), mai discusso e affrontato in maniera seria e documentata, ma sempre in balìa degli eventi sia internazionali sia di mobilitazione interna; così è stato per il mondo del lavoro e i lavoratori, dove livelli salariali e tutele sono peggiorati nel corso degli anni sepolti da una montagna di chiacchiere e azioni legislative che hanno fatto a pezzi quel rimasuglio di certezze che un padre poteva offrire alla propria famiglia con il lavoro.
Per non parlare del problema della tassazione, della burocrazia, della mobilità soprattutto se riferita ai mezzi pubblici, della tutela dell’ambiente e del paesaggio, della legalità, della sanità, della presenza di un settore pubblico elefantiaco, inefficace, volto allo sperpero di denaro pubblico per fini clientelari.
Tutto converge nel fatto che i problemi che oggi ci troviamo ad affrontare sono gli stessi che già quarant’anni fa si mostravano in tutta la loro pericolosità e che i politici (parlamentari e componenti dei vari governi che si sono succeduti, nonché tutta la pletora dei politici dei più svariati apparati periferici) hanno o ignorato, o colpevolmente sottovalutato, o affrontato ma solo per posticiparne le soluzioni, o affrontato ma solo per proprio tornaconto politico-elettorale ammiccando e ingrassando sempre nuovi potenziali elettori, moltiplicando i centri di spesa improduttiva e parassitaria, contribuendo così all’esplosione del debito pubblico.
A lungo andare il precipitato di questa situazione lasciata a vario modo incancrenire per lungo tempo è un dramma senza fine che vede pressoché quotidianamente versare il proprio tributo di sangue, con suicidi e drammi familiari dovuti alla mancanza di un posto di lavoro con conseguente mancanza di reddito, pertanto con lo svilimento dell'essere uomini e donne adulti, magari padri e madri con figli da accudire e mantenere.       
Passano i mesi, le stagioni, gli anni, i decenni, addirittura si svoltano i secoli e persino i millenni, ma i problemi di questo Paese sono sempre uguali a sé stessi, semmai possono solo peggiorare,  persino i politici in taluni casi sono sempre gli stessi e talvolta, quando non lo sono, c’è da disperarsi del nuovo che avanza.
Nel frattempo la rana (Italia) è sempre nel pentolone immersa nell’acqua con il fornello acceso, a ciascuno valutare a quale punto di cottura si sia giunti.

Roberto Locatelli

Tratto da IL SUSSIDIARIO.NET del 12/10/14

http://www.ilsussidiario.net/News/Politica/2014/10/12/SPILLO-La-rana-che-spiega-i-problemi-dell-Italia/537352/

domenica 21 settembre 2014

LA “PALUDE” DEI TWEET CHE FRENA L’ITALIA

Di tweet in tweet sono trascorsi quasi nove mesi da quando l’allora neo-leader PD Matteo Renzi rassicurò, con un twit dall’hashtag #enricostaisereno, l’allora Premier Enrico Letta in merito al fatto che non gli avrebbe messo i bastoni tra le ruote per la sua attività di Primo Ministro, ma che lo avrebbe aiutato e al più pungolato a fin di bene, anche perché quel ruolo lui lo avrebbe ricoperto solo a seguito di legittimazione popolare espressa attraverso il voto.
E siccome un uomo vale quanto la sua parola, pochi giorni dopo Enrico Letta si dimise da premier e l’incarico fu dato, e accettato, proprio dal neo-leader PD Matteo Renzi, accolto come il nuovo Messia Salvatore dalla quasi totalità dei media, ai quali annunciò e promise miracolistiche riforme a tempo di record: una al mese, senza appello!
Lui, l’uomo della Provvidenza 2.0, figlioccio politico di Verdini e Berlusconi, che del primo ha fatto propria la spregiudicatezza e la capacità di farsi scivolare addosso ogni giravolta e voltafaccia, mentre dall’altro la capacità di chiacchierare per ore senza dire nulla di concreto ma ammiccando e ammaliando il telespettatore con la propria retorica e la propria vacuità, si è calato subito nei panni di re Mida, solo che al posto del tocco d’oro avrebbe utilizzato il “tweet”.
Gli annosi problemi che attanagliano e stanno facendo deperire, anzi, imputridire, questo Paese sono tanti, probabilmente ormai tra loro inestricabili, precarizzazione del lavoro, disoccupazione giovanile, debito pubblico alle stelle, crescita economica stagnante, delinquenza e malaffare imperanti, pubblica amministrazione inefficace, apparati politici come comitati d’affari, e via discorrendo, ma pensare di far fronte agli stessi con slogan, battutine, risatine, selfie e twit si sta rivelando inutile oltreché dannoso. Oltre a non porre né soluzioni né argini ai problemi sopra citati, la situazione nei mesi di Governo Renzi si è ulteriormente aggravata, come evidenziano le ricerche e gli studi dei più accreditati Istituti Nazionali (Istat, CGIA di Mestre, Banca d’Italia, Confindustria) e Internazionali (Fondo Monetario Internazionale, Ocse, BCE). Sono proprio degli ultimi giorni i dati Ocse, confermati dal Centro Studi Confindustria, che stimano una contrazione del Pil pari a 0,4%, unico dato negativo tra i Paesi del G7: siamo un Paese in recessione economica.
Ma per tutto quanto detto sopra, trovo due spiegazioni da offrire: una che indirettamente deresponsabilizza Renzi in merito al tracollo in corso, l’altra che invece lo inchioda alla sua inadeguatezza nel ruolo. Ma la contraddizione sarà solo apparente, in realtà saranno due motivazioni tra loro compenetranti, perché la sua continua ricerca del consenso mediatico lavorando solo d’immagine alla fine non lo salva della piena responsabilità.
La prima prende spunto dal fatto che ciascuno di noi è perennemente alla ricerca “dell’uomo forte”, di colui che quasi investito di super-poteri può risolvere d’un sol colpo tutti i problemi. Per taluni significa quasi sperare un ritorno ad un triste e doloroso ventennio passato , dove uno (e la sua ristretta cerchia di consiglieri) decide e gli altri a eseguire pedissequamente il suo volere sin nelle più remote periferie del Paese, per altri significa semplicemente una sorta di super-uomo politico che unisca onestà, capacità, sensibilità, intelligenza e che tutto correttamente decide, sempre e solo per il bene comune, mai influenzato dagli interessi di qualsivoglia lobby.
Questa è una posizione utopistica, la quale non tiene debitamente in conto che, a torto o a ragione, l’architettura dei poteri del nostro ordinamento politico essendo una Repubblica Parlamentare, mal si concilia con la presenza di un uomo forte, al centro c’è, o almeno dovrebbe esserci, l’attività legislativa del Parlamento, mentre il Presidente del Consiglio dei Ministri è solo un mero coordinatore dell’attività del Consiglio dei Ministri, non un uomo forte. E’ un ordinamento che valorizza e propugna dialogo, confronto, magari anche lo scontro parlamentare tra le forze politiche, ma non le forzature di governo e la figura uomini forti.
Negli ultimi due decenni la classe politica sta cercando continuamente di rovesciare questo sistema a favore di una soluzione centrata sull’uomo solo al comando ma, attenzione, non è lo schema che conta, bensì come lo si interpreta! I Paesi a Democrazia Presidenziale sono perlopiù stabili, ma anche i Paesi a Democrazia Parlamentare lo possono essere, come testimonia il caso della Svizzera. Ma qui mi fermo perché non è mia intenzione dibattere di riforme istituzionali, bensì del nostro Premier Renzi, che da questa prima spiegazione viene indirettamente deresponsabilizzato dei suoi insuccessi, in realtà la sua colpa è di non capire il suo ruolo istituzionale come la Costituzione lo ha stabilito, non per l’azione politica di un solista, bensì come quello di un direttore d’orchestra, che sappia coordinare l’azione dei suoi uomini di governo e muoversi in sintonia col Parlamento, che resta sovrano.
La seconda motivazione invece lo inchioda totalmente per la pochezza della sua azione politica sin qui registrata. Ma per farlo devo partire dall’analisi del fatto che Matteo Renzi, a parte il dato anagrafico, è ben lungi dall’essere un uomo nuovo per la politica italiana, attivo in politica sin dagli anni del liceo, dapprima impegnato nei gangli periferici di partito (PPI e Margherita) in Toscana, per poi arrivare sino alla segreteria nazionale DS, è stato anche Presidente della Provincia di Firenze per due mandati consecutivi e sindaco di Firenze per un mandato, e al fine diventare, pur non essendo stato eletto, Primo Ministro, non prima di aver rassicurato il suo predecessore con l’hashtag #enricostaisereno.
La verità è che il giovane Renzi è già un vecchio mestierante della politica, ha sempre e solo bazzicato segreterie e poltrone politiche, non si è mai cimentato con il mondo del lavoro vero, quello dove impegno, capacità, dedizione e sacrificio non vengono mai abbastanza dignitosamente ricompensati sia sotto l’aspetto economico che delle soddisfazioni professionali e i problemi si risolvono veramente perché “lavorare” significa proprio questo, addivenire a qualcosa superando le difficoltà, per offrire beni e servizi utili ad altri. Non ha capacità né professionalità specifiche, e quel che è peggio è che non è nelle sue corde considerare la “ricchezza” un prodotto del frutto dei singoli sacrifici e delle singole fatiche quotidiane di milioni di persone che in Italia tirano la carretta; lui da due decenni ha solo conosciuto e avuto a che fare con gente inserita negli oliatissimi e dispendiosissimi apparati dei partiti e della parassitaria pubblica amministrazione italiana.
Da vecchio politico navigato e spregiudicato, per lui la “ricchezza” prodotta dal Paese è solo una torta da spartire per averne un tornaconto elettorale, non è sua intenzione far dimagrire l’apparato pubblico italiano, rifugium peccatorum dei gruppi parassitari di ogni genere ben organizzati territorialmente e ultra tutelati sindacalmente, perché ciò significherebbe perdita di consenso e potere politico.
Si muove con una agilità ignota al suo sempre più rotondo fisico tra le persone che tirano le fila della soffocante “palude” italiana, e parimenti conosce alla perfezione la forza dell’immagine, già sfruttata a dovere per vent’anni da Berlusconi, ma con l’aggiunta del dinamismo dovuto allo spregiudicato utilizzo dei social network, su tutti twitter.
Ma forse è proprio questo che la gente vuole, non sentirsi responsabilizzata nelle scelte politiche, lasciare che la propria esistenza venga cadenzata oltre che dal lavoro e dalle tasse, dalle partite di calcio, dal nuovo telefonino, dai reality show e dalla settimanale esibizione hot della starlettina tv del momento…massì, lasciamoci guidare tranquillamente dalle rassicuranti parole del “tweetteraio” magico.

Roberto Locatelli

Tratto da IL SUSSIDIARIO.NET  del 21/09/14

http://www.ilsussidiario.net/News/Politica/2014/9/21/SPILLO-La-palude-dei-tweet-che-frena-l-Italia/529467/

martedì 17 giugno 2014

HOMO HOMINI LUPUS

Nella serata di lunedì è stato dato un volto e un nome a colui che avrebbe commesso nel novembre 2010 l'efferato omicidio della tredicenne Yara Gambirasio, trattasi del muratore quarantaquattrenne Bossetti Massimo Giuseppe. E subito i media si sono avventati su quest'uomo, al momento in stato di fermo, e sulla sua famiglia, scavando nel passato suo e della madre, alla ricerca di chissà quali segreti e chissà quali indizi, magari premonitori del drammatico delitto poi perpetrato.
Ma tutto il can-can mediatico è stato attivato da un twit del ministro degli Interni, Angelino Alfano, il quale, in barba al riserbo con il quale la Procura di Bergamo aveva condotto le indagini negli ultimi mesi e alla prudenza con la quale avrebbe (giustamente) voluto gestire il fermo dell'indiziato, ha comunicato l'arresto del presunto omicida. E da qui si è scatenata la bulimia mediatica della caccia prima all’identità del "mostro", poi della sua famiglia (moglie e tre figli), nonchè della madre, rea di aver dato alla luce un futuro omicida frutto di una relazione forse extraconiugale.
Tra le tante considerazioni amare che la giornata di lunedì mi suggerisce, una riguarda proprio il Ministro Alfano, purtroppo in un Paese oltre l'orlo del tracollo come l'Italia lui è tra i più degni rappresentanti della mediocrità e dell'incapacità italica.
Oramai, puntuale come l'arrivo della bella stagione, arrivano anche le gaffe e le certificazioni di inadeguatezza politica di quest'individuo. Dal caso del rapimento di Alma Shalabayeva e di sua figlia a quello della cattura del presunto omicida di Yara, Alfano si erge a emblema dell'incapace di successo, del miracolato dalla sua stessa inadeguatezza, del dannoso a sua insaputa. Ma non voglio dilungarmi oltre per non dedicare ulteriore attenzione a questo improbabile uomo politico divenuto senza meriti una ancor più improbabile Ministro dell'Interno.
L'altra considerazione è che, qualsiasi evoluzione e dinamica avrà questa vicenda, non ci sarà nessun lieto fine. Arrivati a questo punto della vicenda, che Bossetti sia o meno l'omicida di Yara, rimarrà sempre una ferita non rimarginabile in coloro che direttamente o indirettamente sono coinvolti.
Se non fosse colpevole, nessuno potrà comunque ridare Yara ai propri genitori e ai propri fratelli, e l'angoscia sarebbe vita natural durante. Allo stesso tempo se Bossetti fosse colpevole la propria famiglia sarebbe rovinata per sempre dalla vicenda, la madre, che avrebbe avuto un figlio futuro omicida a seguito di una relazione extraconiugale, il padre, che ha scoperto in questa drammatica vicenda di non essere il padre biologico di suo figlio, la moglie e i tre figli minorenni che si troverebbero a convivere per il resto della loro vita con il marchio d'infamia di essere stati moglie e figli di un efferato omicida.
E' una tragedia greca, non c'è un barlume di luce, solo tenebre, solo dolore.
L'ultima considerazione è quasi sociologica, e si lega non solo all'arresto del presunto (io mi ostino, per prudenza visti i precedenti, a chiamarlo così) omicida di Yara, ma anche ai numerosi efferati delitti, quasi tutti nella cerchia familiare, che sono assurti agli onori della cronaca nera negli ultimi anni.
Mi chiedo, come sia possibile che in una società dove regna ancora un relativo e diffuso benessere, dove il livello di scolarizzazione e di cultura è più alto rispetto al passato, dove le realtà familiari svolgono le proprie vite in case e ambiti di relativo benessere materiale, si moltiplichino episodi di efferata violenza?
Io credo che ciò accada proprio per i motivi con i quali interrogavo poco sopra.
Nella nostra società si sono persi tutti i codici d'onore che tenevano assieme una comunità, che non sono le somme dei singoli beni materiali individuali, bensì i codici d'onore che un tempo venivano rispettati anche se non vi era una cultura e una scolarizzazione diffusa, ed erano la lealtà, la parola data, l'onore, il rispetto.
Di più, oggi gli individui sono ingabbiati in una società fatta per robot, non per persone, dove il vizio viene bandito come un peccato, di  più, come un reato; invece il vizio è da sempre una utile valvola di sfogo alle frustrazioni, alle difficoltà e alle amarezze della vita quotidiana, lavorativa e familiare. Vizi che negli anni del dopoguerra avevano aiutato le persone a sfogare le difficoltà, quali il fumo, il vino e persino i bordelli, erano compagni insostituibili e necessari ad abbassare il grado di aggressività sociale in periodi nei quali fame, fatica e patimenti erano sicuramente più presenti di oggi.
Tuttavia ora si sta trasformando le persone in macchine, robot, in qualcosa che non sono mai stati, c'è una tensione sociale, favorita dai media, volta alla perfezione, il genitore perfetto e sempre presente in famiglia, che porta i figli a scuola e li va riprendere, a catechismo e li va a riprendere, alle innumerevoli lezioni di sport, danza, musica, recitazione e chissà cos'altro e li riporta a casa, agli incontri con i catechisti e i professori, in parrocchia e nelle associazioni più disparate, insomma una continua tensione verso la perfezione che fa lievitare sotterranei sentimenti di rabbia che sedimentandosi nel tempo non possono che sfociare in un gesto, anche uno solo, inconsulto, ma fatale per la vita del carnefice e, naturalmente, della vittima.
Come un torrente i cui argini vengono continuamente ristretti per far spazio al cemento, prima o poi si vendica riversandosi fuori dalle anguste e artificiose mura, così la nostra società comprime sempre più la personalità degli individui, avvicina il vizio al peccato, e questo al reato. Bere, fumare, andare a donne, non sono tollerabili nella società della perfezione e del perbenismo, ed ecco che la natura dell'uomo, che è più simile a quella di un lupo (homo homini lupus) che a quella di un angelo asessuato o di un freddo robot, prima o poi prende il sopravvento, e quando lo fa, avviene in modo violento, tale da travolgere vite umane e sconvolgere le coscienze di intere comunità.
Ma non è tutto, chissà perchè ogniqualvolta si verifica un delitto efferato i media riferendosi all'omicida parlano di "orco", "mostro", "rifiuto umano" e via di questo grado. Non sono d'accordo, gli autori di questi omicidi sono da classificare per quello che hanno commesso, ossia degli assassini.
La nostra società, per fortuna, da diverse generazioni non vive i drammi della guerra, e il nostro rapporto con la violenza e il dolore è da ricondurre o alla visione di film e videogiochi a ciò funzionali, oppure alla perdita di una persona cara per malattia o fatto traumatico, come l’incidente d’auto. Manca nella nostra esperienza collettiva un dramma unificante come quello della guerra che porta con sé quello della morte, del dolore, e del male! Se ne è persa la memoria, se ne è persa l’esperienza, non sappiamo più catalogare in maniera lucida e obiettiva un evento che sconvolge l’esperienza collettiva di più individui, di una comunità, ed ecco che si rispolverano figure inesistenti quali mostri e orchi. Ma non è così. Apriamo gli occhi. Coloro che si sono macchiati di efferati delitti, perlopiù nella cerchia familiare, sono persone, in carne e ossa! Piaccia o meno sentirselo dire, sono persone, non orchi o mostri!
Ed è proprio questo al quale non vogliamo credere, che il male non è patrimonio genetico di pazzi, squilibrati, orchi e mostri, ma dell’individuo, di ogni singolo individuo, perché come ben sapevano i latini “homo homini lupus”, l’uomo è lupo per l’uomo. Non vogliamo accettare che il male, o meglio, la capacità di produrre il male, sia insita nella natura umana, e che non c’è scampo alla nostra natura.
Pensiamo di vivere nel migliore dei mondi possibile perché abbiamo “cose”, negli armadi, nel frigorifero, in salotto, in garage, possiamo permetterci tante e sole “cose”, ma l’animo umano non si nutre di “averi”, ma di esperienze, e quando ci lasciamo travolgere nella spirale del vortice di un mondo più virtuale che reale, fatto di continui, ripetuti e noiosissimi doveri, di cura e culto dell’immagine, estetica e sociale, sempre tesi alla perfezione senza tuttavia poterla mai raggiungere, ecco che qualcosa in noi si rompe, e il lupo che alberga in ogni individuo prende il sopravvento sull’artificioso perbenismo di questa società a misura di robot, che odia l’individuo.
Riposa in pace piccola Yara.


Locatelli Roberto

giovedì 24 aprile 2014

SILVIO BERLUSCONI, IL DECLINO DI UN UOMO RIDICOLO

Solo in Italia un condannato con sentenza definitiva passata in giudicato può permettersi di cimentarsi quale leader politico per le imminenti elezioni politiche europee, un paradosso, una vergogna tutta italiana, che all'estero non capiscono, di più, crea sgomento.
Ma sono passato oramai oltre vent'anni dalla discesa in campo dell'ormai ex-Cavaliere, oggi degradato a seguito della condanna in via definitiva per frode fiscale, e i segni del tempo li mostra tutti, sceso in campo per meri interessi privati ben coperti dall'abile slogan ideologico della realizzazione di una politica con impronta liberale, ha mostrato poi tutti i limiti ideologici, comportamentali e morali, identificabili più con il socialismo craxiano della "Milano da bere", piuttosto che con le rivoluzioni liberali di Reagan e Thatcher.
Vent'anni di inconcludenze, vergogne, demagogia, tutti all'insegna dell'immagine.
Un uomo disinteressato alla sostanza dell'agire politico, ma ossessionato dalla forma, dall'immagine che di sé i media dovevano trasmettere ai cittadini-elettori.
Un uomo ossessionato dall'apparire più alto di quello che è in realtà, tanto da rialzare i tacchi delle proprie calzature, un uomo ossessionato dall'apparire più giovane di quello che è in realtà, tanto da sottoporsi periodicamente a lifting facciali, trapianto di capelli, sedute di trucco a base di cerone, un uomo ossessionato dalla vecchiaia, tanto da volerla esorcizzare con comportamenti da adolescente pervertito e sporcaccione, un uomo ossessionato dal voler piacere a tutti, ammiccando il cittadino-elettore con sorrisi di plastica, facendo l'amicone e il simpaticone con battute, barzellette e slogan.
Quest'uomo, nel complesso ridicolo, ha governato e rappresentato l'Italia a livello internazionale per molti anni, e anche ora che non è più Premier, ne condiziona la politica grazie al suo partito che guida in quanto "cosa sua", essendone padrone e leader indiscusso, collaborando in maniera interessata con l'attuale Premier Renzi alle "riforme istituzionali".
Oggi, con una manovra trasformistica sicuramente concertata con i suoi esperti di strategia mediatico-politica, lascia che si manifesti la sua immagine di persona anziana, cercando di far proprio l'elettorato della terza età ingegnandosi in proposte di dentiere a costo zero, così come cerca di far presa sull'elettorato dei padroni di animali domestici, facendo leva sul fido Dudù, il cagnolino della compagna Francesca Pascale.
Un uomo che nel breve volgere di pochi anni è passato dall'ostentazione dell'immagine e del potere, dai festini a base di "bunga-bunga", alla condanna definitiva per frode fiscale, la revoca del titolo di "cavaliere", e ai selfie con Dudù...il declino di un uomo ridicolo.

Roberto Locatelli



lunedì 21 aprile 2014

ESSERE EUROPEI...IL VERO SPREAD

Dallo scoppio della crisi finanziaria dell'estate 2008 ad oggi, abbiamo familiarizzato con un termine che pressoché quotidianamente i mass media ci propinano: lo spread.
Esso è, in senso stretto, un numero che indica una differenza, ad esempio fra rendimenti dei Bund tedeschi e i BTP italiani, manifestando così il differente "rischio Paese" dei due Stati presi a confronto.
Sullo "spread", e sul suo pericoloso crescere durante il periodo primavera/autunno 2011 con conseguenti dimissioni dell'indecoroso Premier Berlusconi e del suo Governo, stiamo assistendo negli ultimi mesi a continui retroscena in merito al fatto che potesse essere stato un ribaltone programmato da oscure forze politiche italiane ed europee, proprio agendo con l'arma dello spread.
Non ho elementi sufficienti per potermi schierare con i complottisti o con coloro che rigettano questa tesi, pertanto con questo scritto voglio rimarcare un altro tema, l'altra faccia dello "spread", di un differenziale che non è solo e soltanto finanziario, ma soprattutto politico e culturale.
Di seguito due coppie di eventi e comportamenti che ben rimarcano quanto appena sostenuto.
In Italia l'ex-Premier ed ex-Cavaliere Berlusconi è stato condannato la scorsa estate con sentenza definitiva della Cassazione per una maxi frode fiscale, lui rimane bellamente nell'agone politico, svolge campagna elettorale per le prossime elezioni Europee, viene ricevuto in pompa magna sia dal Presidente della Repubblica Napolitano che dall'attuale Premier Renzi in quanto leader (ma sarebbe meglio dire, padrone) di Forza Italia, partito che sta sostenendo Renzi all'occorrenza, ossia quando i suoi colleghi del PD fanno mancare voti utili per far passare le sue presunte riforme, e collabora  in maniera attiva e interessata all'inflazionato ma sempreverde tema delle "riforme istituzionali".
In Germania, l'ex Presidente del Bayern Monaco e stella del calcio tedesco Uli Hoeness, è stato condannato in primo grado a tre anni e mezzo per evasione fiscale, non ha voluto ricorrere in appello, vi ha rinunciato, ha ammesso le sue colpe e si è consegnato alle autorità tedesche per scontare, senza privilegi, il suo periodo di detenzione in carcere.
Ancora.
L'ex-onorevole PdL Nicola Cosentino, negli ultimi anni al centro di delicate e inquietanti vicende giudiziarie per la sua presunta vicinanza al clan dei Casalesi, e per altre accuse che vanno dall'estorsione alla illecita concorrenza, nell'ambito di una perquisizione da parte degli uomini della Dia è stato stato trovato un mazzo contenente tre chiavi che aprivano tre differenti accessi ai giardini della Reggia di Caserta, e a dargliele era stato l'ex-prefetto della città campana, corredando il tutto con un biglietto dal contenuto pomposamente deferente.
Uno dei capolavori più belli del mondo, patrimonio pubblico, era da anni ad uso privato dell'ex-onorevole Cosentino, per la propria attività di jogging.
Mentre la cancelliera tedesca Angela Merkel, in vacanza ad Ischia con il marito, decide di visitare gli scavi di Pompei e, senza farsi annunciare da nessuno, senza comunicazioni preventive ai media, senza auto blindate con lampeggianti e sirene spiegate,  si reca tranquillamente in biglietteria con il consorte, la scorta e un archeologo tedesco, paga i biglietti per tutti quanti e, cartina alla mano, visita gli scavi per circa tre ore e mezza, senza pomposità, senza manifestazione di sfarzo, potenza o alterigia.
Quelli appena descritti sono due coppie di eventi contrapposti che evidenziano, se ce ne fosse ancora bisogno, come figure apicali in situazioni identiche si comportano in modi completamente opposti in Italia e in Germania, modi che rispecchiano lo spread tra i due Paesi, non quello finanziario, bensì quello politico e culturale, che è ben più profondo e marcato del primo e la dice lunga sul significato profondo di "essere europei".

Roberto Locatelli


 
 
 

sabato 1 marzo 2014

IL BERLUSCHINO PRALINATO

Quando Renzi si affacciò sulla scena politica nazionale mi colpì, era un mio coetaneo che sfidava la nomenclatura del suo partito, senza mettersi in scia a nessun potente di turno, diceva peste e corna di un certo modo d'intendere e fare la politica, a destra come a sinistra (nel suo caso soprattutto a sinistra) volta solo al ladrocinio, al chiacchiericcio, al pettegolezzo, all’autoreferenzialità, alla baruffa, ma alla più totale inconcludenza.
Che dire poi della sfida generazionale che lanciò in seno al suo partito, quando disse che era stanco di continuare a sentir dire da lorsignori ex-sessantottini che erano la "meglio gioventù", e che anche la nostra generazione voleva poter fare e valere.
Lo confesso, mi colpì, e lo vedevo come un qualcosa di nuovo che nasceva nella politica italiana, ma ciò che è successivamente emerso mi ha fatto cambiare completamente idea.
Pur essendo già sindaco di Firenze, ha bramato sino all'ossessione per ottenere la segreteria del PD, dapprima risultando sconfitto alla sfida finale con Bersani nel dicembre 2012, successivamente continuando a pungolare cinicamente il proprio segretario politico e candidato Premier, noncurante delle difficoltà nelle quali si dibatteva, comportandosi come una belva che sente l'odore del sangue della propria preda ferita, si è fiondato su di lui, eliminandolo politicamente e ottenendo nuove elezioni primarie per la segreteria del PD.
Nel frattempo nuovo Premier è diventato Enrico Letta, definito il "nipote vecchio dello zio giovane", a testimonianza della parentela con lo zio Gianni, braccio destro del leader PdL Berlusconi.
Ma era anche un Premier giovane per il target italiano, aveva cinquant’anni, di chiara scuola democristiana, avvezzo alla politica, con un comportamento dignitoso, un modo di fare e parlare più che istituzionale, direi persino curiale. Un deciso passo in avanti rispetto al clownesco settuagenario Berlusconi, deriso in Italia (poco) e all’estero (molto) per i suoi comportamenti e i suoi modi da adolescente demente e pervertito.
Ma a Renzi la cavalcata alla leadership del partito non bastava più, nei mesi precedenti alla sua scontata elezione a segretario del PD ha continuato a provocare Enrico Letta, proprio sodale politico e Premier, fiutandone le difficoltà ha visto bene di sbruffoneggiare con un profluvio di dichiarazioni si in merito all’operato del governo, sia ai provvedimenti che a suo dire dovevano essere adottati.
Dal secondo semestre del 2013 Renzi ha mostrato il suo vero volto, quello di un abile e temibile arrivista, che non si fa scrupoli nel bacchettare, denigrare e pugnalare anche i propri colleghi di partito se questi occupano poltrone a lui papabili, in spregio sia a valori di sano “cameratismo” politico, sia a valori nel senso proprio del termine: lealtà, amicizia, onestà.
Oltretutto, colui che pensavo fosse una germinazione spontanea della società civile che, senza padri né padrini politici, sfidava l’establishment del proprio partito per portare nuova linfa non solo in termini anagrafici ma soprattutto nelle idee, in realtà si scopre che qualche contatto e spinta l’ha avuta, ma dal partito che dovrebbe essergli avversario. Ormai sono cronaca i contatti e i legami che negli anni ha avuto con Denis Verdini, plenipotenziario (e plurinquisito, ma questo può essere un titolo di merito le PdL-FI) di quel Silvio Berlusconi, dal quale sembra aver preso assimilato tutto.
E dopo aver disarcionato e sostituito Enrico Letta nel ruolo di Premier, ha mostrato un altro lato poco nobile nell’arte della politica nella costruzione della squadra di governo, dove si è passati dal cosiddetto “manuale Cencelli”, dove si bilanciavano gli incarichi pubblici in base al peso dei partiti o delle singole correnti in seno alla DC, al “manuale Renzi”, con i ruoli ministeriali equilibrati in modo tale da soddisfare lobby (Coop, Confindustria, CL), media (50%uomini e 50% donne), con una strizzatina d’occhio anche al Quirinale (no a Gratteri alla Giustizia) e all’opposizione (la presenza tutt’altro che casuale di Guidi, Costa e Ferri).
Con buona pace della novità in politica, la metamorfosi dell’inciucio politico è servita, per il “fare” ci saranno tempi e modi di là da venire, l’importante è avere imparato bene la lezione del proprio docente politico Berlusconi: saper imbonire, saper comunicare!


Locatelli Roberto